COMMENTO DALLA FACULTY
Il ruolo della terapia di consolidamento post-trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche (ASCT) nei pazienti affetti da Mieloma Multiplo di nuova diagnosi (NDMM) resta ancora molto dibattuto.
Nonostante non vi siano evidenze sufficienti a favore di un suo impiego come standard di cura, la terapia di consolidamento è frequentemente eseguita per incrementare la profondità e la durata della risposta ottenuta e ricalca generalmente gli schemi di trattamento utilizzati nei regimi di induzione.
Al momento, solo pochi trials hanno valutato prospetticamente l’efficacia della terapia di consolidamento nei pazienti con NDMM. Per tale motivo la terapia di consolidamento non è al momento raccomandata da numerose linee guida, tra cui quelle recentemente pubblicate da parte di ESMO (Dimopoulos MA et al. Hemasphere 2021 Feb 3;5(2):e528).
Promettenti sono stati i risultati ottenuti dalla tripletta bortezomib, talidomide e desametasone (VTD): Cavo e colleghi (Blood 2012, 120:9-19) hanno infatti dimostrato come la terapia di consolidamento post doppio ASCT basata su questo regime consenta un miglioramento prognostico in termini di CR rate e dunque di PFS. Tale vantaggio è stato osservato anche in uno studio retrospettivo (Leleu X, Leukemia 2013, 27:2242-2244).
Inoltre, alcuni trials clinici hanno valutato l’impiego del secondo ASCT come terapia di consolidamento. lo studio “StaMINA” ha confrontato l’esecuzione di un singolo ASCT, di un tandem ASCT e del singolo ASCT seguito da consolidamento con 4 cicli di VRD (con successivo mantenimento a base di lenalidomide in tutti i bracci) senza evidenziare differenze prognostiche significative di PFS ed OS, anche se ad un follow-up più prolungato dello studio la PFS a 6 anni si è dimostrata significativamente migliore nei pazienti ad alto rischio sottoposti a tandem ASCT rispetto a singolo ASCT e lenalidomide.
Recentemente Sonneveld e collaboratori (J Clin Oncol. 2021 Sep 14) hanno pubblicato i risultati dello studio europeo di fase III EMN02/HO95 per quanto concerne il confronto prospettico della terapia di consolidamento con 2 cicli di bortezomib, lenalidomide e desametasone (VRD) rispetto a nessun consolidamento.
Nello specifico, il trial EMN02/HO95, in cui sono stati arruolati oltre 1500 pazienti di età ≤65 anni con MM all’esordio, presentava due importanti endpoints primari. Il primo endpoint prevedeva il confronto dell’efficacia in termini di PFS della terapia di intensificazione con bortezomib, melphalan e prednisone (VMP) rispetto a chemioterapia ad alte dosi di melphalan (HDM) e successivo ASCT. Questa prima randomizzazione dello studio era successiva a una fase comune di induzione con 3-4 cicli di bortezomib, ciclofosfamide e desametasone (VCD).
Il secondo endpoint primario era la valutazione dell’effetto, in termini di PFS, del consolidamento con VRD versus no consolidamento (seconda randomizzazione), seguito da mantenimento con lenalidomide per tutti i pazienti, fino a intolleranza o progressione di malattia.
I risultati dell’analisi finale del trial EMN02 (Cavo M. et al Lancet Haematol 2020) concernenti la prima randomizzazione, hanno mostrato come nell’era delle triplette bortezomib-based la terapia con alte dosi di melphalan e successivo ASCT si confermi lo standard di cura dei pazienti giovani con NDMM.
Per quanto riguarda la seconda randomizzazione dello studio, 451 pazienti sono stati assegnati al braccio di consolidamento e 427 pazienti al braccio no consolidamento. I risultati hanno evidenziato come la terapia di consolidamento con VRD correli con una significativa riduzione della probabilità di recidiva di malattia.
Infatti, a follow-up mediano di circa 75 mesi, la PFS mediana è risultata di 59 mesi nel gruppo VRD versus 43 mesi nel gruppo no consolidamento. Il beneficio conferito dalla terapia di consolidamento è stato confermato nella maggior parte dei sottogruppi di pazienti analizzati (es. stadio R-ISS, caratteristiche citogenetiche) e indipendentemente dalla precedete assegnazione al braccio al braccio VMP o ASCT nella prima randomizzazione. Invece, la terapia di consolidamento non ha apportato alcun vantaggio in termini di prolungamento della PFS nei pazienti ad alto rischio citogenetico per la presenza di del(17p).
Inoltre, la terapia di consolidamento con VRD ha determinato una maggiore profondità delle risposte: la percentuale di risposte uguali o superiori alla remissione completa (CR) è risultata più elevata nel gruppo di pazienti assegnati al braccio consolidamento (59% vs 46%; P < .001).
L’analisi della malattia minima residua (MRD) in citofluorimetria, condotta in un sottogruppo di 226 pazienti con rispostata maggiore o uguale alla VGPR prima di iniziare la terapia di mantenimento, non ha mostrato differenze significative nella percentuale di MRD negatività tra i pazienti sottoposti alla terapia di consolidamento rispetto a no consolidamento (74% vs 70). Purtroppo, la disomogeneità nella valutazione dello status di MRD al momento della seconda randomizzazione impedisce qualsiasi conclusione formale.
La durata mediana della terapia con lenalidomide di mantenimento è stata di 33 mesi e circa un terzo (32%) dei pazienti risultano in trattamento a 5 anni dall’inizio della terapia di mantenimento, confermando il beneficio della terapia continuativa con lenalidomide post ASCT, già descritto in altri studi e metanalisi.
Al momento, non sono emerse differenze statisticamente significative in termini di OS (a 4 anni da R2 pari a 76% per VRD di consolidamento vs 69% per no consolidamento). Comunque, il trend di leggero miglioramento della OS osservato per il braccio consolidamento rende necessario un follow up più prolungato per validare tali risultati.
La tossicità della terapia di consolidamento con VRD è risultata gestibile ed accettabile. La maggior parte (97,5%) dei pazienti assegnati al consolidamento ha completato il trattamento senza riduzione della dose.
In conclusione, secondo l’analisi del trial EMN02/HO95 la terapia di consolidamento prima dell’inizio del mantenimento migliora l’outcome dei pazienti con NDMM eleggibili al trapianto. Le numerose differenze nei disegni degli studi impongono cautela nel paragone con lo studio StaMINA.
Risultati preliminari ma molto promettenti sono stati ottenuti in studi di fase II che hanno valutato l’impiego in regimi di consolidamento del carfilzomib (tripletta carfilzomib, talidomide, desametasone e carfilzomib, lenalidomide, desametasone) e ixazomib nella tripletta IRD evidenziando un incremento della qualità di risposta e di MRD-negatività con buona tolleranza della terapia. Altri studi in corso stanno valutando l’efficacia di regimi di consolidamento con quadruplette comprensive di anticorpi monoclonali anti-CD38.
L’ impiego sistematico di diverse modalità di valutazione della MRD lungo le diverse fasi terapeutiche nei protocolli in corso permetterà di rapportare il risultato dell’ MRD con l’ efficacia della terapia di consolidamento e la durata della terapia di mantenimento.