COMMENTO DALLA FACULTY
Nelle ultime due decadi, l’armamentario terapeutico del MM si è arricchito di promettenti nuovi agenti, quali farmaci immunomodulatori, inibitori del proteasoma e anticorpi monoclonali.
L’avvento di questi farmaci, variamente combinati fra di loro in nuovi regimi, ha consentito di incrementare significativamente le percentuali di risposte di elevata qualità e prolungare la PFS e l’OS dei pazienti affetti da MM di nuova
diagnosi (NDMM), sia candidati sia non candidati a ricevere un programma di chemioterapia ad alte dosi con successivo trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche (ASCT). Questi eccellenti risultati hanno messo in discussione il ruolo del trapianto autologo, ponendo il quesito, se ASCT up-front sia ancora lo standard of care del paziente giovane affetto da NDMM o sia possibile raggiungere gli stessi miglioramenti, in termini di outcomes, tramite l’utilizzo esclusivo di regimi contenenti i nuovi farmaci.
In questo contesto, sono stati pertanto disegnati studi randomizzati volti a comparare prospetticamente ASCT e schemi di terapia contenenti i nuovi farmaci.
In particolare, l’European Myeloma Network ha proposto il trial clinico multicentrico, prospettico, di fase III EMN02/HO95 MM, che ha confrontato l’efficacia della terapia di intensificazione con Bortezomib, Melphalan e Prednisone (VMP) rispetto a chemioterapia ad alte dosi di Melphalan (HDM) e successivo ASCT, a seguito di una fase comune di induzione con 3-4 cicli di Bortezomib, Ciclofosfamide e Desametasone (VCD).
In aggiunta, essendo ancora molto dibattuto l’impiego sistematico della terapia di consolidamento con nuovi farmaci, nel trial EMN02/HO95 è stato indagato il ruolo di un consolidamento con Bortezomib, Lenalidomide e Desametasone (VRD) rispetto a nessun consolidamento, seguito da mantenimento con Lenalidomide per tutti i pazienti, fino a intolleranza o progressione di malattia (Fig. 1).
Considerato l’arruolamento di oltre 1500 pazienti con NDMM di età ≤ 65 anni, il trial EMN02 risulta lo studio più ampio sinora riportato in letteratura nell’ambito degli studi prospettici condotti in questo setting.
I risultati dell’analisi finale del trial EMN02, pubblicati da Cavo M. et al, hanno mostrato come, ad un follow-up mediano di circa 60 mesi, ASCT si associ a un significativo prolungamento della PFS mediana (56.7 mesi) rispetto alla terapia di intensificazione con VMP (41.9 mesi), determinando una riduzione del rischio di evento pari al 27% (endpoint primario dello studio). Il beneficio conferito dall’ASCT rispetto a VMP in termini di PFS, si è mantenuto in tutti i sottogruppi di pazienti analizzati ed in particolare, anche in presenza di fattori basali a noto impatto prognostico negativo, sia per caratteristiche di “high burden” di malattia (quali stadio ISS II-III, stadio R-ISS II e III, elevati livelli di LDH e infiltrato massivo di plasmacellule midollari) sia per caratteristiche citogenetiche di alto rischio, definite dalla presenza di del(17p) ± t(4;14) ± t(14;16).
Non sono evidenziate differenze significative in termini di sopravvivenza tra i due gruppi a confronto ma un recente aggiornamento dell’analisi finale (Cavo M et al. ASH 2020), condotto con un follow-up mediano di oltre 6 anni dei pazienti sottoposti alla prima randomizzazione, ha invece evidenziato un significativo miglioramento dell’OS stimata a 75 mesi per i pazienti del gruppo ASCT rispetto a VMP (69% versus 63%, p=0.034). Tale vantaggio è stato ancora una volta confermato anche in presenza di caratteristiche prognostiche sfavorevoli, incluso il profilo citogenetico di alto rischio. Infatti, proprio in questo sottogruppo di pazienti la randomizzazione ad ASCT rispetto a VMP ha determinato una riduzione del rischio di morte pari al 39%, con un vantaggio ancora più significativo per i pazienti portatori di del(17p) (HR 0.49).
In considerazione dei pochi e discordanti risultati disponibili sul valore aggiuntivo del doppio ASCT soprattutto nell’era dei nuovi farmaci, nel trial EMN02 è stata effettuata una comparazione prospettica in termini di efficacia tra il singolo (ASCT-1) e il doppio ASCT (ASCT-2).
Infatti, secondo il disegno dello studio tra i 702 pazienti randomizzati a ricevere ASCT, 419 pazienti sono stati a loro volta assegnati ad ASCT-1 (n=209) o ASCT-2 (n=210) nei centri con policy di doppio ASCT. I risultati dell’analisi finale per quanto concerne tale obiettivo secondario dello studio, hanno dimostrato un vantaggio significativo di ASCT-2 rispetto ad ASCT-1 sia in termini di PFS (HR 0.74) sia di OS (HR 0.62), con beneficio particolarmente evidente nei pazienti portatori di del(17p) come evidenziato dall’HR per progressione (0.24) o morte (0.30).
Tali risultati appaiono in linea con quanto riportato in una metanalisi di tre trials randomizzati europei (Cavo M, et al Blood. 2018, 132, Suppl1: 124), in cui sono stati impiegati regimi di induzione con tripletta Bortezomib-based (VTD o PAD) seguiti da singolo o doppio ASCT; infatti, l’esecuzione del doppio ASCT si è associata ad un vantaggio di PFS e OS, maggiormente evidente nei pazienti ad alto rischio per stadio ISS II/III e citogenetica positiva per t(4;14) e/o del(17p).
I dati emersi dal trial EMN02 sono invece discordanti rispetto a quelli ottenuti dallo studio di fase III “StaMINA” (Stadtmauer EA, et al JCO 2019), condotto in USA: il doppio ASCT, o la terapia di consolidamento comprensiva di nuovi farmaci, non hanno apportato alcun beneficio rispetto ad un trattamento con singolo trapianto autologo e mantenimento con Lenalidomide.
Occorre tuttavia considerare che le notevoli differenze tra i disegni dei due studi (es. tipo di regime e durata della terapia di induzione, diversa aderenza al secondo ASCT e differente definizione di malattia ad alto rischio) rendono i risultati difficilmente confrontabili.
Nel trial EMN02 è stato inoltre raggiunto un altro endpoint primario dello studio ovvero la valutazione dell’effetto, in termini di PFS, del consolidamento con VRD versus no-consolidamento. L’analisi di tale endpoint, condotta da Sonneveld et al., ha dimostrato come la terapia di consolidamento con VRD correli con una significativa riduzione della probabilità di recidiva di malattia (PFS mediana di 58.9 mesi nel gruppo VRD versus 45.5 mesi nel gruppo no consolidamento).
Una delle criticità del trial EMN02 può essere rappresentata dall’utilizzo di un regime di induzione non ottimale, che potrebbe aver influito sulla qualità delle risposte ottenute. Quando il trial EMN02 è stato disegnato, VCD era uno degli schemi di induzione più utilizzati per i pazienti eleggibili ad ASCT mentre successivamente la combinazione di Bortezomib ed IMiD è divenuta il backbone della terapia di induzione.
Inoltre, le dimensioni dei sottogruppi di pazienti con o senza anomalie citogenetiche nella comparazione di ASCT-1 versus ASCT-2 rendono necessarie ulteriori conferme per poter definire l’appropriatezza del doppio trapianto come procedura standard per tutti i pazienti giovani con malattia all’esordio o riservata solo a determinate categorie di pazienti con caratteristiche di alto rischio.
In conclusione, nell’era delle triplette Bortezomib-based, la terapia con alte dosi di Melphalan e successivo ASCT si conferma lo standard di cura dei pazienti giovani con NDMM. L’integrazione nel programma trapiantologico di sempre più nuovi e promettenti agenti di seconda e terza generazione (Carfilzomib, MLN) e degli anticorpi monoclonali (Daratumumab e Isatuximab), attualmente in sperimentazione, rende nuovamente necessario definire il ruolo della chemioterapia ad alte dosi e il valore aggiuntivo del doppio ASCT nel contesto di studi prospettici.