COMMENTO DALLA FACULTY
La quasi totalità dei pazienti affetti da mieloma multiplo (MM) viene trattata in prima linea con regimi contenenti lenalidomide e pertanto un consistente porzione di essi sarà, al momento della prima recidiva, refrattaria a questo farmaco. Nei prossimi anni inoltre, a causa del sempre più frequente utilizzo in prima linea dell’anticorpo monoclonale anti-CD38, crescerà esponenzialmente la percentuale di pazienti refrattari non solo a lenalidomide ma anche al daratumumab. Le alternative terapeutiche nei pazienti refrattari alla lenalidomide prevedono l’utilizzo di combinazioni di daratumumab/isatuximab con carfilzomib o pomalidomide (IsaKd e DPd) sulla base degli studi IKEMA e APOLLO, mentre per i pazienti doppio refrattari (lenalidomide e daratumumab), l’associazione di bortezomib e pomalidomide (PVd) rappresenta l’unica tripletta disponibile in seconda linea. Tutte le opzioni di trattamento citate hanno dimostrato efficacia e tollerabilità come opzioni terapeutiche di salvataggio in seconda linea, ma si basano tutte sulla somministrazione continuativa di farmaci parenterali che richiedono accesso alle strutture ospedaliere.
Nello studio CARTITUDE-1, una singola somministrazione di cilta-cel, CAR T-cell diretta contro BCMA, è risultata in una mediana di progression-free survival di circa 3 anni in pazienti privi di ulteriori alternative terapeutiche efficaci. Sulla base di questi risultati è stato quindi disegnato lo studio CARTITUDE-4 atto a confrontare, in pazienti refrattari a lenalidomide dopo almeno una linea di trattamento, due regimi standard of care (PVd e DPd) con cilta-cel. I risultati dello studio, pubblicati da San Miguel J. et al sul New England Journal of Medicine, hanno mostrato come una singola infusione di cilta-cel sia in grado di incrementare i tassi di risposte complete (CR, 72% vs 22%) e MRD negatività (61% vs 16%) e di ridurre in maniera statisticamente significativa il rischio di progressione o morte del 74% (HR: 0.26) rispetto alle due triplette PVd/DPd.
È importante sottolineare come il beneficio osservato con cilta-cel si è mantenuto anche in sottogruppi di pazienti caratterizzati storicamente da una prognosi sfavorevole, ossia pazienti con citogenetica “ultra-high risk” (HR: 0.33), con malattia extra-midollare (HR: 0.39) e con malattia refrattaria a lenalidomide che a daratumumab (HR: 0.26).
Tali risultati supportano l’utilizzo di cilta-cel come un nuovo standard di terapia già a partire dalla seconda linea di trattamento.
Cilta-cel rappresenta un’opzione favorevole non soltanto in pazienti refrattari a lenalidomide, per i quali esistono diverse opzioni di trattamento anche in seconda linea, ma anche e soprattutto per quei pazienti che risultano doppiamente refrattari sia a lenalidomide che a daratumumab, per i quali, al contrario, le opzioni di salvataggio sono limitate.
I dati pubblicati forniscono alcuni interessanti spunti di riflessione. In primis, il tempo mediano di produzione di cilta-cel è risultato pari a circa 6 settimane. Dei pazienti randomizzati a ricevere cilta-cel, tutti hanno ricevuto una terapia ponte (DPd o PVd); nonostante ciò, il 15% dei pazienti è uscito dallo studio prima di poter ricevere ciltacel, per lo più per via della progressione del mieloma, e durante le prime 8 settimane dello studio si sono verificati più eventi di progressione nel braccio sperimentale che in quello dello standard of care. Nonostante un tasso di discontinuazione precoce elevato, la maggior parte dei pazienti che ha eseguito l’aferesi è riuscita a ricevere cilta-cel fuori protocollo.
Questi dati suggeriscono come, a fronte di un tempo di produzione ancora clinicamente significativo, la possibilità di una terapia ponte permetta alla maggior parte dei pazienti il contenimento della malattia in attesa dell’infusione di cilta-cel. D’altra parte però, tale tempistica di produzione può risultare clinicamente detrimente per paziente con malattia aggressiva ad alta proliferazione e che porta rapidamente ad un deterioramento della funzione d’organo, in particolare della funzionalità renale e midollare, e che può pregiudicare la possibilità dell’infusione. In questo ambito di pazienti la disponibilità di anticorpi bispecifici, pronti all’uso, può rappresentare un competitor forte per le CAR T-cell.
Un secondo spunto di riflessione deriva dal profilo di tossicità osservato con cilta-cel rispetto sia alle terapie standard of care sia allo stesso cilta-cel utilizzato in linee più avanzate. Il rischio infettivo è risultato simile nei due bracci di trattamento, incluso il tasso di infezioni di grado 3-4. Se il rischio infettivo risulta maggiore con cilta-cel nei primi mesi dall’infusione, la somministrazione continuativa di farmaci immunosoppressivi nel braccio di controllo controbilancia tale rischio.
Ne deriva quindi che una maggiore consapevolezza dei rischi infettivi post infusione e adeguate strategie profilattiche potrebbero ridurre ulteriormente il rischio infettivo osservato. È interessante notare inoltre come sia il rischio di cytokine release syndrome e tossicità neurologica, così come la tossicità ematologica, siano risultati inferiori nello studio CARTITUDE-4 rispetto allo studio CARTITUDE-1; questo fenomeno può almeno in parte essere spiegato da una migliore riserva midollare in pazienti meno pre-trattati e da una migliore citoriduzione pre-infusione, quest’utlima legata a terapie ponte più efficaci.
È lecito domandarsi se i risultati a lungo termine, in particolare la PFS, ottenuti con cilta-cel in pazienti altamente pretrattati dello studio CARTITUDE-1 verranno migliorati con un utilizzo precoce già a partire dalla seconda linea. Un confronto preliminare presentato al congresso europeo di ematologia (EHA) da Einsele H. et al sembrerebbe favorire un uso precoce di cilta-cel, sebbene sia necessario un follow-up più lungo per confermare tale osservazione.
Uno dei limiti di questo studio è l’assenza, come terapia di confronto, delle triplette contenti carfilzomib e desametasone in associazione a daratumumab o isatuximab, che rappresentano oggi la terapia di salvataggio in seconda linea con i migliori risultati in termini di MRD e PFS. Anche in quest’ottica i risultati a lungo termine dello studio CARTITUDE-4 assumono particolare interesse per capire se una singola infusione di cilta-cel sarà competitiva anche nei confronti di triplette altamente efficaci come IsaKd e DKd.
Infine, saranno di grande interesse i dati sulla qualità della vita osservata con i due diversi approcci terapeutici, in particolare per ciò che concerne il confronto tra una terapia “one-shot” come le CAR T-cell e una terapia continuativa come gli attuali regimi standard.