COMMENTO DALLA FACULTY
Nel Mieloma Multiplo (MM), come in altre patologie ematologiche, inizia a diventare preponderante il paradigma che la risposta terapeutica più profonda corrisponda a una più lunga sopravvivenza.
Infatti, negli ultimi anni numerosi studi hanno dimostrato come l’ottenimento della malattia minima residua (minimal residual disease, MRD) negativa, valutata sia con metodiche di next-generation sequencing (NGS) sia di next generation flow cytometry (NGF), rappresenti uno dei fattori più importanti nel definire la prognosi dei pazienti. Il ruolo prognostico della MRD è stato confermato anche da una ampia metanalisi (Munshi NC, et al. Blood Advances 2020) condotta su oltre 8000 pazienti che ha dimostrato come la negatività della MRD sia in grado di conferire un miglioramento della prognosi in tutti i contesti clinici (pazienti di nuova diagnosi, ricaduti/refrattari, ad alto rischio citogenetico). Inoltre, è emersa non solo l’importanza del raggiungimento della MRD negatività dentro e fuori dal midollo ma soprattutto del suo mantenimento nel tempo una volta ottenuta (sustained MRD-negative).
Secondo i criteri IMWG di risposta (Kumar S, et al. Lancet Oncology 2016), si parla di sustained MRD-negativity in caso di MRD negativa a livello midollare e mediante imaging per almeno un anno. Anche la sensibilità raggiunta nella valutazione della MRD midollare, elevata per entrambe le metodiche (di 10-5 l’NGF e 10-6 l’NGS) riveste un significativo valore prognostico. Difatti, è stato dimostrato come i pazienti che ottengono una MRD negativa con sensibilità pari a 10-6 hanno una PFS maggiore rispetto a quelli che la ottengono con una sensibilità pari a 10-5.
L’importanza della definizione della MRD è supportata dagli straordinari avanzamenti terapeutici avvenuti negli ultimi anni nel trattamento del MM, che hanno determinato un significativo miglioramento non solo del rate di risposte di elevata qualità valutate tradizionalmente ma anche della negativizzazione della MRD. È ormai noto come la recente aggiunta dell’anticorpo monoclonale anti-CD38 daratumumab ai regimi backbone comprensivi di PI e IMiD utilizzati nel trattamento dei pazienti con NDMM sia elegibili che non elegibili al trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche (ASCT) abbia portato a una maggiore percentuale di pazienti che raggiungono una MRD negatività.
Tuttavia, la valutazione della MRD non è ancora utilizzata come strumento per modificare la durata o l’intensità delle terapie, che al momento vengono proseguite quasi sempre fino a intolleranza o progressione di malattia in tutti i pazienti, indipendentemente dalle caratteristiche di rischio di malattia e risposta alle terapie.
In questo contesto, lo studio multicentrico di fase II MASTER (Costa LJ, et al. J Clin Oncol. 2022) ha combinato daratumumab, carfilzomib, lenalidomide e desametasone (DaraKRd) seguito da ASCT nei pazienti affetti da NDMM, utilizzando per la prima volta la valutazione della MRD per definire l’intensificazione e la durata della terapia di consolidamento post-ASCT con DaraKRd.
Infatti, il disegno dello studio prevedeva 4 fasi comprensive di: 4 cicli di induzione con DaraKRd, singolo ASCT e fino a due fasi di consolidamento con 4 cicli ciascuno (cicli 5-8 e 9-12, rispettivamente), questi ultimi somministrati secondo lo stato di MRD (vedi Figura 1). La valutazione della MRD era prevista alla fine della terapia di induzione, post-ASCT, e ogni quattro cicli (massimo otto cicli) di consolidamento. I pazienti che raggiugevano due determinazioni negative della MRD (ad esempio, post-induzione e post-ASCT o post-ASCT e primo blocco di consolidamento) venivano discontinuati dalla terapia e avviati alla fase di monitoraggio della MRD fino a 18 mesi, successivamente ai quali era richiesto possibilmente un monitoraggio annuale. Invece, i pazienti con MRD ancora positiva al termine della terapia di consolidamento iniziavano il mantenimento con lenalidomide.
L’obiettivo principale dello studio era di descrivere la proporzione di pazienti che raggiungevano la MRD negatività (sensibilità di 10–5 con metodiche di NGS) e gli outcomes dei pazienti avviati all’osservazione libera da trattamento dopo l’ottenimento di due determinazioni negative della MRD midollare.
Complessivamente lo studio ha arruolato 123 pazienti (età mediana pari a 60 anni) e il 96% di essi presentava una MRD valutabile in NGS, dimostrando la fattibilità di tale approccio. Dal momento che secondo il disegno dello studio era favorito l’arruolamento di pazienti portatori di caratteristiche citogenetiche di alto rischio (HRCA) tra t(4;14); t(14;16); del(17p), 1q e t(14;20), sono state identificate 3 categorie di rischio sulla base del numero di HRCA: 1 HRCA (37% dei pazienti), almeno 2 HRCA (20%) e nessuna HRCA (43%). A un follow-up mediano di 25 mesi, è stata osservata una elevata percentuale di pazienti (pari al 80%) con MRD negativa (78%, 82%, e 79% per i pazienti con 0, 1, e almeno 2 HRCA, rispettivamente) e il 71% ha sospeso la terapia per il raggiungimento di due determinazioni consecutive di MRD negatività.
Dunque, nonostante l’elevata partecipazione di pazienti con HRCA, nel trial MASTER la proporzione MRD negatività è risultata ancora più elevata rispetto a quanto osservato in altri trials clinici che hanno visto l’impiego di quadruplette e ASCT nel setting dei pazienti con NDMM. Ad esempio nello studio CASSIOPEIA in cui 543 pazienti hanno ricevuto terapia di induzione con daratumumab, bortezomib, talidomide, e desametasone (D-VTd) + ASCT + 2 cicli di terapia di consolidamento con D-VTd, il 64% ha ottenuto una MRD negativa (10-5) in MFC. Nello studio GRIFFIN su 104 pazienti trattati con terapia di induzione con daratumumab, bortezomib, lenalidomide e desametasone (D-VRd) + ASCT + 2 cicli di D-VRd, fino al 63% ha ottenuto una negativizzazione della MRD in NGS. Purtroppo, a causa del disegno dello studio a braccio singolo, nel trial MASTER non è possibile identificare il contributo relativo di ogni farmaco (esempio l’impiego di carfilzomib invece di bortezomib e lenalidomide invece di talidomide) o del ASCT nel raggiungimento di tali risultati di efficacia.
Invece, la stratificazione dei pazienti in 3 categorie di rischio citogenetico (0, 1 and 2+ HRCA) ha portato ad osservazioni di grande interesse. Infatti, sebbene i pazienti con almeno 2 HRCA abbiano mostrato una percentuale simile di MRD negatività rispetto alle altre categorie di rischio citogenetico, la loro PFS è risultata inferiore: la PFS stimata a 2 anni è stata pari a 87% per la popolazione generale, con valori simili tra i pazienti con 0 e 1 HRCA (rispettivamente 91% e 97%) ma è risultata del 58% per i pazienti con almeno 2 HRCA.
Inoltre, l’incidenza cumulativa di ripositivizzazione della MRD o progressione a 12 mesi dalla sospensione della terapia è stata notevolmente più elevata nei pazienti con 2 HRCA (27% versus 4%, 0% per i pazienti con 0, 1 HRCA). Allo stesso modo, la OS era simile tra i pazienti con 0 e 1 HRCA ma inferiore nei pazienti con 2+ HRCA (OS stimata a 2 anni pari a 96%, 100% e 76%, rispettivamente) (vedi Figura 2).
Dunque, i risultati del trial MASTER dimostrano la fattibilità e gli esiti favorevoli di un trattamento adattato sullo stato della MRD, con la possibilità di una progressiva riduzione della terapia nella maggior parte dei pazienti con NDMM che raggiungono risposte profonde. Infatti, per i pazienti con rischio citogenetico standard o portatori di una unica HRCA, questa strategia ha creato l’opportunità di avviare i pazienti al monitoraggio della MRD libero da trattamento in alternativa alla terapia di mantenimento a tempo indeterminato. Ovviamente il ruolo di una simile strategia terapeutica MRD-adapted dovrà essere confermato in studi clinici randomizzati più ampi.
Per quanto concerne i pazienti portatori di almeno 2 HRCA, i risultati di questo studio e della letteratura sottolineano la necessità di trattamenti ancora più innovativi che consentano risultati superiori rispetto a quelli raggiungibili con i regimi di quadruplette e ASCT, in particolare per i pazienti che non ottengono la MRD negatività. La combinazione della valutazione MRD con altri indicatori di rischio come metodiche di imaging e gene expression profiling potrebbero favorire lo sviluppo di stratificazioni del rischio più raffinate e conseguentemente strategie terapeutiche sempre meglio adattate alla risposta.
Gli stessi autori concludono che occorre molta cautela nell’utilizzo di strategie di de-intensificazione della terapia basate sull’ottenimento della sola MRD negatività a livello midollare nei pazienti ultra-high-risk. Al contrario, i trials clinici in corso e futuri dovranno valutare la possibilità di intensificare gli attuali trattamenti con le nuove immunoterapie quali CAR-T e anticorpi bispecifici e l’utilizzo concomitante di approcci MRD-driven al fine di migliorare ulteriormente i risultati della terapia dei pazienti affetti da NDMM con caratteristiche di rischio sfavorevoli