COMMENTO DALLA FACULTY
Per diversi anni la combinazione di pomalidomide e desametasone (Pd) ha rappresentato il regime di salvataggio standard in 3° linea per pazienti affetti da mieloma recidivato e refrattario dopo lenalidomide e un inibitore del proteasoma (PI).
Lo studio registrativo MM-003 pubblicato nel 2013 aveva infatti mostrato un vantaggio in termini di progression-free survival (PFS) nei pazienti cui la pomalidomide era stata associata alle alti dosi di desametasone rispetto al braccio di controllo con solo desametasone (PFS mediana, 4 vs 2 mesi). Nonostante il beneficio osservato con la combinazione Pd, la PFS mediana di soli 4 mesi riportata in pazienti con malattia resistente a lenalidomide e a PI rappresentava certamente un risultato subottimale.
La necessità quindi di migliorare i risultati ottenuti con Pd e il razionale biologico della combinazione della pomalidomide con un anticorpo monoclonale ha portato alla sperimentazione prima, e all’approvazione poi, di ben tre triplette fondate sull’associazione di Pd con 3 diversi anticorpi monoclonali: elotuzumab (EPd), isatuximab (IsaPd) e infine daratumuamb (DPd).
Lo studio randomizzato di fase 3 APOLLO, pubblicato da Dimopoulos M.A. et al nel 2021 su Lancet Oncology, e recentemente aggiornato all’American Society of Hematology 2022, ha testato e portato all’approvazione l’associazione di daratumumab, anticorpo monoclonale diretto contro il CD38, e Pd (DPd), in pazienti con almeno due precedenti linee terapeutiche comprendenti un PI e lenalidomide, oppure una sola linea terapeutica precedente se refrattari a lenalidomide.
Come già osservato negli studi ELOQUENT-3 e ICARIA, l’aggiunta di un anticorpo monoclonale alla doppietta Pd è risultata una strategia efficace e sicura.
L’aggiunta di daratumumab ha infatti prolungato in maniera statisticamente significativa la PFS rispetto alla doppietta Pd (PFS mediana, 12.4 vs 6.9 mesi, HR: 0.63, p=0.0018) e prodotto risposte più rapide (tempo alla risposta, 1 vs 2 mesi) e profonde (pazienti in remissione completa: 25% vs 4%; pazienti con malattia minima residua, 10-5, 9% vs 2%).
All’ultimo aggiornamento dello studio, (Dimopoulos MA et al, ASH 2022) gli sperimentatori hanno riportato un beneficio di overall survival (OS) a favore del braccio sperimentale DPd rispetto al braccio di controllo (OS mediana, 34 vs 24 mesi), sebbene non statisticamente significativo (HR: 0.82, p=0.2). È interessante notare come, sebbene circa il 70% dei pazienti arruolati nel braccio di controllo dello studio APOLLO abbia ricevuto daratumumab nella linea successiva (rispetto al 9% dei pazienti del braccio sperimentale), la PFS2 sia risultata superiore nel braccio DPd rispetto al braccio Pd (PFS2 mediana, 24 vs 18 mesi, HR 0.73), a riprova del fatto che l’utilizzo di daratumumab in combinazione e in linea precoce produca risultati migliori rispetto ad un utilizzo più tardivo.
Tali risultati di efficacia sono anche legati ad un profilo di tossicità favorevole quando un anticorpo anti-CD38 viene combinato con farmaci immunomodulanti (lenalidomide e pomalidomide): infatti, nonostante un più alto tasso di neutropenia (69% vs 51%) e di infezioni, soprattutto polmoniti (14% vs 7%), di grado 3-4, la compliance al trattamento e il rischio di interruzione per eventi avversi del braccio sperimentale è risultato simile a quella del braccio di controllo.
È importante sottolineare come tutti i pazienti arruolati nello studio APOLLO fossero stati precedentemente esposti ad un PI e la maggioranza di essi (circa l’80%) fosse refrattario alla lenalidomide, pocihè queste sono le caratteristiche della stragrande maggioranza dei pazienti con mieloma recidivato e/o refrattario già in seconda linea.
DPd rappresenta quindi un’opzione terapeutica efficace sia in pazienti con almeno 2 precedenti linee terapeutiche laddove la malattia non risulti ancora esposta/refrattaria ad un anticorpo monoclonale anti-CD38, affiancandosi quindi alle triplette IsaPd e EPd, sia in 2° linea per pazienti trattati con un PI e refrattari alla lenalidomide, affiancandosi a triplette come isatuximab, carfilzomib e desametasone o bortezomib, pomalidomide e desametasone.
Il confronto dei risultati dello studio APOLLO con quelli ottenuti negli studi IKEMA e CANDOR con le combinazioni di daratumumab e isatuximab con carfilzomib e desametasone, risulta difficile per via delle differenti popolazioni di pazienti arruolate (negli ultimi due studi circa il 40-50% di pazienti aveva ricevuto in precedenza solo 1 terapia e circa il 30-40% era refrattario a lenalidomide).
Tuttavia, DPd rappresenta una tripletta di salvataggio che ha dimostrato efficacia clinica anche in pazienti in prima recidiva e refrattari a lenalidomide; questi dati, assieme a quelli delle combinazioni IsaKd, DKd e PVd permettono ai clinici di personalizzare il trattamento scegliendo la tripletta più opportuna non soltanto sulla base dei dati di efficacia ma anche su fattori come il profilo di tossicità e la logistica della somministrazione (frequenza e modalità di somministrazione), parametri questi sempre più importanti, soprattutto nella popolazione anziana dove il rapporto tra efficacia e tollerabilità/qualità di vita assume particolare rilievo.