COMMENTO DALLA FACULTY
Nonostante negli ultimi anni siano stati approvati numerosi ed efficaci regimi terapeutici per i pazienti affetti da Mieloma Multiplo (MM) sia di nuova diagnosi sia ricaduto/refrattario (RRMM), ancora una elevata percentuale di pazienti sviluppa la resistenza ai farmaci. In particolare, per i pazienti refrattari agli agenti immunomodulanti (IMIiDs), inibitori del proteasoma (PIs) e anticorpi monoclonali anti-CD38 (MoAbs) restano poche opzioni terapeutiche efficaci, difficilmente in grado di indurre risposte durature. Pertanto, risulta di vitale importanza lo sviluppo di nuovi farmaci ancora più efficaci e possibilmente versatili per l’impiego nei regimi di combinazione insieme ad altri agenti. Inoltre, considerata la fragilità dei pazienti sottoposti a molteplici linee terapeutiche e l’aumentata vulnerabili agli effetti avversi, risultano altrettanto importanti gli aspetti legati alla tollerabità e sicurezza dei farmaci utilizzati nelle fasi avanzate di malattia. Recentemente, l’espansione delle conoscenze biologiche dei pathway di signaling intracellulare nel MM ha favorito lo sviluppo di nuove molecole farmacologiche interferenti con i meccanismi di degradazione proteica.
Nello specifico, iberdomide è un nuovo potente modulatore di Cereblon E3, componente di un complesso proteico che rappresenta il target degli immunomodulatori lenalidomide e pomalidomide. Attraverso il legame a Cereblon, gli IMiDs favoriscono l’ubiquitinazione e la degradazione proteica di fattori essenziali nella sopravvivenza delle cellule di MM. Iberdomide si caratterizza per una elevata affinità di legame a Cereblon, 20 volte superiore rispetto agli IMiDs, ed è in grado di indurre una degradazione proteica ancora più efficace anche dei fattori di trascrizione Ikaros e Aiolos. È stato dimostrato come la perdita di questi due fattori di trascrizione sia in grado di inibire la proliferazione cellulare e indurre l’apoptosi nelle cellule di MM e altre cellule B maligne. Inoltre, Ikaros e Aiolos giocano un ruolo chiave nella regolazione dell’attività immunitaria cellulare. Infatti, l’inibizione di tali proteine si associa a effetti immunomodulatori quali la deplezione delle cellule B, la co-stimolazione dell’attività delle cellule T, l’aumento della produzione di inteleuchina-2 e INF-gamma e proliferazione delle cellule NK. Di conseguenza, iberdomide esplica una azione tumoricida e anti-proliferativa sulle cellule di MM, verso cui stimola in aggiunta l’attività immunitaria delle cellule T e NK.
Studi preclinici hanno evidenziato l’effetto sinergico di iberdomide con desametasone, PIs di prima e seconda generazione e anti-CD38 MoAbs, suggerendone la combinazione con altri agenti anti-mieloma in vivo.
Recentemente, Lonial S et al. (Lancet Haematol 2022) hanno pubblicato i risultati dello studio multi-coorte di fase 1/2 CC-220-MM-001, atto ad esplorare la sicurezza e efficacia clinica di iberdomide in combinazione con desametasone nei pazienti affetti da RRMM.
Complessivamente, sono stati arruolati e trattati con iberdomide-desametasone 197 pazienti (90 nella coorte di dose-escalation e 107 nella coorte di dose-expansion), sottoposti ad almeno 2 precedenti linee di terapia, comprensive di lenalidomide o pomalidomide e almeno un PI. Dall’analisi delle caratteristiche della popolazione è emerso un pesante stato di pre-trattamento dei pazienti, sottoposti a una mediana di 5-6 precedenti linee di terapia.
Nella prima parte dello studio, iberdomide è stata somministrata oralmente alla dose di 0.3-1.6 mg (nei giorni 1-21 di ogni ciclo di 28 giorni) insieme a desametasone alla dose di 40 mg (una volta alla settimana) nei pazienti di età ≤ 75 anni e 20 mg nei pazienti di età > 75 anni. I risultati di efficacia hanno mostrato una significativa attività clinica del farmaco con una percentuale di risposte globali pari al 32% per tutte le dosi somministrate, sebbene le risposte più profonde (VGPR e CR) siano state osservate alle dosi più elevate (≥ 0.9 mg). La dose massima tollerata non è stata raggiunta anche se si sono verificate due tossicità limitanti la dose, entrambe consistenti in infezioni, insorte alle dosi di mg 1.2 (sepsi di grado 4) e di mg 1.3 (polmonite di grado 3). La dose raccomandata per la seconda parte di dose-expansion è stata di 1.6 mg e a tale dosaggio la percentuale di risposte globali è risultata pari a 26% (inclusi 8 pazienti in VGPR e 1 in sCR), Figura 1. Il beneficio in termini di risposta è stato confermato in tutti i sottogruppi analizzati, eccetto nei pazienti con malattia extra-midollare in cui le risposte globali sono state pari al 11%. Il 53% dei pazienti ha sperimentato un evento avverso severo ma la discontinuazione del farmaco è avvenuta in 5 pazienti. Alla dose raccomandata di 1.6 mg, come atteso nei pazienti pesantemente pre-trattati, gli eventi avversi più comuni di grado ≥3 sono stati di tipo ematologico con neutropenia (45%), anemia (28%) e piastrinopenia (22%) e le infezioni (27%). Un paziente è deceduto in corso di trattamento per sepsi.
Dunque, i risultati di sicurezza di iberdomide sono risultati particolarmente incoraggianti se paragonati con quelli ottenuti con altri farmaci approvati nel setting dei pazienti pluritrattati, spesso gravati anche da tossicità extra-ematologiche che possono indurre la discontinuazione del trattamento. Ad esempio, selinexor è associato a tossicità gastrointestinali di grado 3-4 quali nausea (9% dei pazienti) e diarrea (6% dei pazienti), raramente osservate con iberdomide. Da un punto di vista dell’efficacia, le percentuali di risposte globali osservate con iberdomide risultano in linea con i risultati di selinexor-desametasone (risposte globali pari a 25%) e belantamab mafodotin in monoterapia (risposte globali pari al 31%), mentre il profilo di sicurezza di iberdomide sembrerebbe ancora più maneggevole. Altri nuovi promettenti trattamenti quali le terapie cellulari con CAR-T o anticorpi bispecifici hanno invece mostrato una efficacia clinica maggiore rispetto a iberdomide nei pazienti con RRMM. Comunque, la complessità della gestione di tali trattamenti rende queste ultime opzioni terapeutiche non sempre percorribili e appropriate per tutti i pazienti, soprattutto nelle fasi più avanzate di malattia. Inoltre, la formulazione orale, il profilo di sicurezza favorevole e le proprietà immunostimolanti di iberdomide supportano il potenziale impiego come agente backbone anche in regimi di combinazione con farmaci immunoterapici quali anticorpi monoclonali, CAR-T e anticorpi bispecifici o in sostituzione a lenalidomide sia nelle triplette attualmente in uso sia nella terapia di mantenimento dopo il trapianto autologo di cellule staminali.
In conclusione, iberdomide rappresenta una nuova opzione terapeutica per i pazienti con RRMM e gli incoraggianti risultati dello studio CC-220-MM-001 supportano l’inizio dello studio di fase 3 e l’avvio di ulteriori studi clinici atti a esplorare la combinazione di iberdomide con altri trattamenti standard of care del MM.