COMMENTO DALLA FACULTY
L’associazione a due farmaci costituita da lenalidomide e desametasone (Rd) rappresenta una delle principali opzioni terapeutiche per i pazienti con mieloma multiplo (MM) di nuova diagnosi non candidabili a chemioterapia intensiva e trapianto autologo, nonché la base di diverse triplette studiate per aumentarne l’efficacia attualmente approvate. Nelle nuove linee guida ESMO 2021 infatti, due dei tre regimi chemioterapici raccomandati per i pazienti “anziani” sono costituite dalla combinazione di Rd con un inibitore del proteasoma (PI), bortezomib (VRd), o un anticorpo monoclonale, daratumumab (DRd). Lo studio randomizzato di fase III MAIA ha dimostrato come l’aggiunta di daratumumab a Rd incrementi i tassi di risposte e prolunghi significativamente la progression-free survival (PFS) rispetto alla doppietta Rd. Analogamente VRd, una delle combinazioni più usate, soprattutto negli Stati Uniti, come terapia di I linea, sia per il paziente giovane che per il paziente anziano, ha dimostrato come associare un immunomodulante quale la lenalidomide ad un PI quale bortezomib risulti non solo in una PFS migliore ma anche in una più lunga overall survival (OS). L’utilizzo di bortezomib quale partner della lenalidomide fa però sì che uno dei principali vantaggi di Rd, ossia la sua somministrazione completamente orale, venga persa; l’associazione di bortezomib a Rd infatti, da un lato ne migliora l’efficacia, dall’altro però impone frequenti accessi ospedalieri per la sua somministrazione. Il rischio di neuropatia periferica inoltre limita l’utilizzo continuativo di bortezomib.
Ixazomib, PI analogo al bortezomib, ma a somministrazione orale e privo di un significativo rischio di neuropatia, rappresenta una alternativa a bortezomib e, in associazione a Rd (IRd), costituisce una tripletta completamente orale già approvata nel trattamento del paziente con MM recidivato o refrattario.
Sulla base dello studio SWOG0777, che ha decretato la superiorità di VRd su Rd, è stato disegnato lo studio di fase III TOURMALINE-MM2, in cui bortezomib è stato rimpiazzato da ixazomib come partner di lenalidomide e cortisone, atto a dimostrare la superiorità della tripletta IRd sul braccio di controllo Rd come terapia di prima linea in pazienti con nuova diagnosi di MM non candidabili a trapianto autologo.
I risultati di questo studio sono tanto interessanti quanto controversi. Nonostante un incremento statisticamente significativo dei tassi di risposte complete (CR, 26% vs 14%) e very good partial response (VGPR, 63% vs 48%), e un time to progression (TTP) mediano significativamente più lungo (49 vs 31 mesi, p=0.008) nel braccio IRd vs Rd, per ciò che concerne l’obiettivo primario dello studio, ossia la PFS, gli autori riportano sì una riduzione del rischio di morte o progressione (HR: 0.83) e un prolungamento della PFS mediana (35 vs 22 mesi) nel braccio sperimentale IRd rispetto al braccio di controllo Rd, senza che tuttavia questa differenza raggiunga la significatività statistica (p: 0.073). Gli autori ipotizzano che la marcata differenza tra PFS e TTP nel braccio sperimentale (49 e 35 mesi, rispettivamente) sia dovuta al numero di morti precoci (entro i primi sei mesi) osservate in assenza di progressione di malattia, senza che però venga identificata una particolare sottopopolazione a maggior rischio di eventi fatali; peraltro, in entrambi i bracci di trattamento la % di decessi correlati al trattamento è sovrapponibile (18%). Gli autori sottolineano inoltre come il disegno del trattamento, che ha previsto una riduzione del dosaggio di lenalidomide (25 -> 10 mg) e di ixazomib (4 -> 3 mg) e l’interruzione del cortisone dopo i primi 18 cicli, possa aver determinato una riduzione dell’efficacia della combinazione rispetto ad un uso continuativo a dose piena. D’altra parte, lo studio pubblicato su Blood da Larocca et al. ha recentemente dimostrato come la riduzione del dosaggio di lenalidomide e l’interruzione del cortisone non abbiano effetti detrimenti sull’efficacia del regime Rd in pazienti definiti unfit secondo il frailty score dell’International Myeloma Working Group.
Indipendentemente dalla significatività statistica, gli autori sottolineano come IRd produca un incremento “clinicamente” significativo in termini di PFS (13.5 mesi) rispetto al braccio di controllo. La PFS mediana osservata nello studio TOURMALINE-MM2 inoltre è molto simile a quella riportata dagli studi SWOG0777 (34 mesi), in pazienti di età superiore o uguale ai 65 anni, e dallo studio ENDURANCE (35 mesi) nei pazienti trattati con VRd, sebbene in quest’ultimo studio i pazienti ad alto rischio citogenetico fossero esclusi, ad eccezioni dei pazienti con t(4;14).
E’ importante notare come le curve di OS dello studio TOURMALINE-MM2 siano assolutamente sovrapponibili nei due bracci; gli autori sottolineano come tale dato sia particolarmente evidente nei pazienti che ricevono un altro PI nelle successive linee di terapia mentre nei pazienti che non riceveranno ulteriori PI come parte della terapia alla recidiva, l’OS sembra favorire il braccio sperimentale IRd. E’ possibile ipotizzare dunque che in pazienti più fragili, in cui ci si aspetta un minore numero di linee di terapia durante la storia della malattia, l’utilizzo di ixazomib in prima linea possa determinare anche un vantaggio di OS.
E’ importante sottolineare come l’aggiunta di ixazomib a Rd nelo studio TORUMALINE-MM2 abbia confermato quanto osservato nello studio TOURMALINE-MM1 in termini di riduzione del rischio di morte o progressione (HR: 0.69) nei pazienti con citogenetica ad alto rischio, inclusi i pazienti con amp1q.
Per ciò che concerne il profilo di sicurezza, l’aggiunta di ixazomib, coerentemente con quanto osservato in studi precedenti, ha incrementato il rischio di eventi di grado 3-4 di tipo dermatologico (rash, 17% vs 7%), ematologico (piastrinopenia, 13% vs 5%) e gastroenterici (diarrea, 10% vs 2%), senza però un incremento significativo di eventi avversi seri rispetto a Rd.
Il mancato raggiungimento dell’endpoint primario dello studio rappresenta un importante limite all’utilizzo di IRd, soprattutto nel contesto terapeutico in cui Rd viene raccomandata in combinazione con daratumumab e bortezomib. Tuttavia, il giudizio di questa tripletta sulla base della sola PFS risulterebbe superficiale; il maggior tasso di VGPR e CR, il prolungamento della TTP e la sua efficacia in pazienti ad alto rischio citogenetico, oltre ad un buon profilo di tossicità e il grande vantaggio della somministrazione completamente orale, rendono IRd una tripletta che potrebbe risultare comunque vantaggiosa per una certa popolazione di pazienti anziani nella quale sia di particolare importanza il bilanciamento tra efficacia, tollerabilità e convenienza di somministrazione.