COMMENTO DALLA FACULTY
Il management del paziente affetto da mieloma smouldering (SMM), in particolare il trattamento chemioterapico precoce, è tutt’ora un argomento oggetto di notevoli discussioni all’interno del mondo scientifico. Lo studio spagnolo pubblicato dal gruppo PETHEMA a primo nome M.V. Mateos, in cui la combinazione di lenalidomide-desametasone ha dimostrato di prolungare il tempo alla recidiva e la sopravvivenza globale dei pazienti affetti da mieloma smouldering rispetto alla sola osservazione, ha aperto la strada a diversi studi sperimentali volti a testare diverse strategie di trattamento precoce nei pazienti con SMM.
Nel 2019, Lonial et al hanno pubblicato i risultati di uno studio di fase II/III in cui 182 pazienti con diagnosi di SMM sono stati randomizzati a trattamento con sola lenalidomide oppure osservazione fino a progressione a mieloma sintomatico come da pratica clinica. L’obiettivo primario dello studio era la progression-free survival (PFS) intesa come tempo alla progressione a mieloma sintomatico.
I risultati dello studio dimostrano una riduzione statisticamente significativa del rischio di progressione a mieloma multiplo con danno d’organo (3-year PFS: 91% vs. 66%, HR:0.28; p=0.002) nei pazienti trattati con lenalidomide rispetto ai pazienti in sola osservazione. Nonostante lo studio abbia raggiunto l’end-point primario, ossia la dimostrazione dell’efficacia della lenalidomide nel ritardare la progressione a mieloma sintomatico, l’impatto sulla pratica clinica di tale studio è gravato da una serie di limitazioni, cosicché alcuni importanti quesiti circa il reale beneficio di un trattamento precoce rispetto all’osservazione nei pazienti con SMM rimangono irrisolti.
Una prima criticità dello studio è relativa alla scelta dell’end-point primario. Se infatti è lecito attendersi che un farmaco come la lenalidomide, che ha già dimostrato di essere attivo nei confronti del mieloma, sia efficace nel ritardare la progressione della malattia rispetto alla sola osservazione, l’obiettivo primario dello studio dovrebbe essere quello di dimostrarne l’efficacia nel prolungamento della sopravvivenza globale (OS) dei pazienti asintomatici. Purtroppo alla data della pubblicazione il follow-up era troppo breve per evidenziare una differenza in termini di OS nei due bracci, e sarà necessario attendere un più lungo follow-up per una risposta definitiva a tale importante quesito.
A ciò si aggiunge che, andando a stratificare i pazienti secondo la più recente classificazione proposta dalla Mayo clinic (20-2-20), i dati dello studio mostrano come il beneficio del trattamento precoce in termini di prolungamento della PFS si sia osservata principalmente nei pazienti ad alto rischio secondo la classificazione proposta dalla Mayo Clinic nel 2018 (“20-2-20”), e non in quelli a rischio intermedio o basso.
Infine, sebbene i risultati di questo studio rappresentino una pietra miliare per ulteriori sperimentazioni in tale ambito, rimane irrisolta la questione circa la migliore strategia terapeutica nell’ambito del trattamento precoce. Le curve dello studio infatti dimostrano come l’utilizzo di lenalidomide “single-agent” sia in grado di ritardare la progressione a mieloma sintomatico senza però riuscire ad eradicare la patologia. Altri studi ora in corso invece applicano protocolli terapeutici più intensivi, basati sull’utilizzo di 3 o più farmaci associati al trapianto autologo di cellule staminali, con l’obiettivo di una completa eradicazione delle cellule di mieloma, al costo di un rischio di tossicità maggiore.
Soltanto la pubblicazione dei risultati di tali studi permetterà di determinare l’approccio ideale al mieloma multiplo asintomatico.