18 Dic Update dall’American Society of Hematology Meeting 2020 sulla terapia con anticorpi monoclonali anti-CD38
Durante il percorso compiuto attraverso le precedenti newsletter abbiamo visto come l’avvento degli anticorpi monoclonali anti-CD38 abbia sconvolto positivamente, e ancora stia radicalmente modificando, le strategie terapeutiche dei pazienti con mieloma, dapprima potenziando le doppiette disponibili alla recidiva e basate sull’utilizzo di immunomodulanti (IMiD) e inibitori del proteasoma (PI) di prima generazione come lenalidomide e bortezomib, quindi entrando di diritto nel trattamento di prima linea dei pazienti di nuova diagnosi associandosi ai precedenti standard of care come lenalidomide e desametasone (DRd), bortezoib, melfalan e prednisone (DVMP) e bortezomib, talidomide e desametasone (DVTD), sia per i pazienti eleggibili a trapianto sia per quelli anziani e non candidabili a terapia intensiva.
In considerazione del sempre crescente utilizzo in prima linea di farmaci come bortezomib e lenalidomide, si è reso necessario sviluppare IMiDs e PIs di seconda e terza generazione come pomalidomide, carfilzomib e ixazomib, attivi anche nei pazienti esposti o divenuti refrattari alle molecole di prima generazione.
Le combinazioni pomalidomide-desametasone (Pd) e carfilzomib-desametasone (Kd) rappresentano oggi lo standard terapeutico di salvataggio per pazienti con mieloma recidivato ed esposti a lenalidomide e bortezomib, nonché la piattaforma per lo sviluppo di regimi terapeutici sempre più efficaci.
Nelle precedenti newsletter abbiamo visto come l’aggiunta di anticorpi monoclonali anti-CD38, daratumumab e isatuximab, agli attuali regimi approvati alla recidiva Pd (DPd, IsaPd) e Kd (DKd, IsaKd) abbiano significativamente incrementato l’efficacia di tali combinazoni a confronto con le sole doppiette Pd e Kd. All’ASH2020 appena concluso sono stati diversi i lavori presentati che hanno prodotto aggiornamenti importanti su tali combinazioni.
Abbiamo in precedenza visto come lo studio randomizzato di fase III ICARIA-MM (Attal M. et al; Lancet 2019) abbia riportato un vantaggio statisticamente significativo in termini di progression-free survival (PFS) per i pazienti trattati con la tripletta Isatuximab, pomalidomide e desametasone (IsaPd) rispetto ai pazienti del braccio di controlli che hanno ricevuto la doppietta Pd.
Al congresso ASH2020 sono stati riportati i risultati di due sotto-analisi relative allo studio ICARIA-MM condotte sui pazienti anziani e sui pazienti con malattia extramidollare (EMD).
Nell’analisi presentata da Schjesold F et al., i pazienti randomizzati a IsaPd e Pd sono stati ulteriormente stratificati in base ad uno score geriatrico basato su età, comorbidità e ECOG performance status, in pazienti fit/unfit o frail. Nella popolazione generale, la PFS mediana è risultata pari a 11.5 mesi nel braccio IsaPd e 6.5 mesi nel braccio Pd. Il beneficio relativo all’aggiunta di isatuximab alla doppietta Pd si è rivelato maggiore, come atteso, nei pazienti fit/unfit (PFS mediana, 12.7 mesi vs. 74. mesi; HR: 0.49) ma è stato confermato anche nei pazienti frail (PFS mediana, 9 mesi vs. 4.5 mesi; HR: 0.81). Nei pazienti frail, l’aggiunta di un terzo farmaco alla combinazione Pd ha prodotto un modesto incremento degli eventi avversi di grado 3 o superiori (92% vs 81%) che però non si è tradotto in un maggior tasso di interruzione del trattamento per tossicità rispetto al solo utilizzo di Pd (8% vs 17%).
Becksak M. et al., hanno invece presentato i dati relativi all’efficacia di IsaPd vs Pd in pazienti con malattia extramidollare. I pazienti con “soft-tissue plasmocytoma” inclusi nello studio ICARIA-MM sono risultati pari all’11% della popolazione arruolata. In tale sottogruppo di pazienti IsaPd ha dimostrato di incrementare sia il tasso di risposte (overall response rate, 50% vs 10%) sia la PFS mediana (5 mesi vs 2 mesi; HR: 0.22) rispetto al braccio di controllo Pd.
I dati di queste due analisi di sottogruppo dimostrano come l’aggiunta di Isatuximab a Pd sia efficace e tollerabile anche nei pazienti fragili, seppur con i limiti di un’analisi post-hoc che utilizza un frailty score non validato in pazienti selezionati, e nei pazienti con malattia extramidollare.
Lo studio ICARIA-MM non è però l’unico ad aver dimostrato il beneficio dell’aggiunta di un anticorpo monoclonale anti-CD38 alla combinazione Pd nel trattamento dei pazienti con mieloma alla recidiva. Un altro importante studio in questo ambito è stato infatti presentato da Dimopoulos M. et al. Lo studio APOLLO, fase III randomizzato, ha investigato l’associazione di daratumumab, pomalidomide e desametasone (DPd) confrontandola con l’attuale standard alla recidiva Pd, in 304 pazienti con mieloma recidivato/refrattario trattati in precedenza con una mediana di 2 linee e per l’80% refrattari a lenalidomide. L’aggiunta di daratumumab alla doppietta Pd ha determinato un incremento statisticamente significativo dei tassi di remissioni complete (CR, 24.5% vs 4%) che si è tradotto in un prolungamento della PFS rispetto all’utilizzo di Pd (mediana, 12.4 mesi vs. 6.9 mesi; HR: 0.63). Un ulteriore dato importante dello studio conferma la maggior sicurezza e maneggevolezza della somministrazione sottocutanea di daratumumab rispetto al suo utilizzo endovenoso (reazioni infusionali pari al 6%, tutte di grado 1-2; tempo di infusione mediano: 5 minuti).
Lo studio di fase III IKEMA, presentato al congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) nel 2019 da Moreau P. et al, ha confermato ancora una volta la superiorità della tripletta basata su di un anticorpo monoclonale anti-CD38 rispetto all’utilizzo della doppietta: IsaKd ha determinato infatti una riduzione statisticamente significativa del rischio di morte/progressione rispetto all’utilizzo del solo Kd (median PFS, not reached vs. 19.5 mesi; HR: 0.531). Molto interessante il dato dei pazienti risultati MRD (malattia minima residua) negativi: 29.6% nel braccio IsaKd e 13% nel braccio Kd.
Ad ASH2020 è stata presentato un update sulle risposte dello studio IKEMA nei due bracci di trattamento da Martin T. et al. L’analisi presentata ha confermato come l’aggiunta di isatuximab a Kd incrementi i tassi di remissioni complete (39.7% vs 27.6%) e aumenti la probabilità di raggiungere la MRD negatività (30% vs 13%) rispetto al braccio di controllo Kd. Sebbene il tempo mediano alla risposta sia risultato breve in entrambi i bracci (32 giorni vs 33 giorni), è stato evidenziato un progressivo aumento dei tassi di CR/MRD negatività all’aumentare del corso dei cicli. Infine, anche in questo studio, l’ottenimento di una MRD negatività si è associato ad una migliore PFS.
Un’altra utile analisi condotta da Capra M. et al. ha riguardato i pazienti con insufficienza renale (fino ad un minimo di EGFR di 15 ml/min secondo la formula MDRD) arruolati nello studio IKEMA. Questa interessante analisi conferma la sicurezza dell’utilizzo di IsaKd rispetto a Kd anche in pazienti con insufficienza renale (eventi avversi di grado 3 o superiore, 79% vs 78%) e il beneficio in termini di risposte globali, CR e MRD negatività dell’aggiunta di isatuximab. Non solo il vantaggio in termini di PFS per il braccio sperimentale si mantiene anche nei pazienti con insufficienza renale (mediana, not reached vs. 13.4 mesi), ma IsaKd risulta anche in una proporzione superiore di risposte renali rispetto a Kd (52% vs 31%).
Data l’elevata incidenza di insufficienza renale nei pazienti con mieloma, questi dati assumono particolare rilevanza nella quotidiana pratica clinica.
A cura di Roberto Mina
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